Chi SEGUE LA LEGGE DELL’AMORE È SOPRA IL PECCATO

Pura fiction, da una storia vera

Fra Dolcino da Novara e Bernard Gui - disegno di Roberta Giulia Amidani

DOLCINO DA NOVARA, MARGHERITA, E LE TENAGLIE DELL’INQUISITORE BERNARDO GUI

3.700 parole dalla tastiera di Roberta Giulia Amidani


PROLOGO

Siamo nel luglio del 1300. Gerardo Segarelli, considerato tra i fondatori dei “Nuovi Apostoli”, finisce sul barbecue grazie a quel grand’uomo di Papa Bonifacio VIII (alla faccia del nomen omen). Il rogo di Segarelli incendia l’animo di Dolcino da Novara che un mese più tardi impugna la penna per diffondere il suo profondissimo sdegno. Le lettere di Dolcino finiscono nelle mani dell’inquisitore francese Bernardo Gui che non solo non le capisce, ma le travisa: Dolcino parla di amore e povertà, due temi parecchio scomodi a una Chiesa fondata sul loro opposto, senza dubbio imparentati con la filosofia patarina degli straccioni e con quella dei nuovi apostoli di Segarelli. A scanso equivoci, Bernardo riscrive le lettere, in pratica fa un bell‘editing di quelli intensi e stila anche una sinossi in venti punti, tipo PowerPoint, che poi presenta al Vescovo Raniero di Vercelli il quale inorridisce e subito gli dà il permesso di dare la caccia all’eresiarca e ai suoi compari, tra i quali Longino di Bergamo e soprattutto Margherita, compagna, assistente, seguace, P.R., e ufficio stampa di Dolcino. La crociata dura quasi sette anni, fino al marzo del 1307. La compagnia si barrica in cima al monte Rubello, in Valsesia, assediata dai soldati di Bernardo che riescono a penetrare nel fortino e fanno fuori quasi tutti i sopravvissuti, tranne Dolcino, Margherita e l’amico Longino, fuggiti attraverso un tunnel. Alla fine del “budello”, ormai nel bosco, quando i tre credono di essere scampati al massacro, ecco che finiscono dritti nelle fauci delle milizie. Portati fino a Biella, già messi maluccio, verranno torturati fino alla morte dalle tenaglie del boia e dall’accento francese di Bernardo che legge parole che Dolcino sa di non aver mai scritto.

Quello che segue è il racconto1 delle ultime ore.


“Chi segue la legge dell’amore è sopra il peccato”

Pura fiction, tratta da una storia vera

Le tenaglie sono sporche di sangue, Margherita ha gli occhi pesti e neri, come è nero e pesto il suo viso, sformato dai calci. Si sforza di guardarmi. Finirà presto, vorrei dirle, se solo riuscissi a parlare, ma è solo il primo giorno.

Bernardo continua a ripetere cose che io so già.

«…che tutta l’autorità conferita da Gesù Cristo Signore alla Chiesa di Roma si è dissipata totalmente e già da un pezzo è finita a causa della malvagità dei prelati…»

Mi sta di nuovo leggendo la sentenza e nel farlo la voce e l’accento addolciscono la sua penna affaticata, gonfia, vecchia, pesante, inutile, morta; quando ordina al boia di prendere questo o quel brandello di carne, o una tenaglia piuttosto che un ferro, fa quasi pena. È la cadenza francese, penso. Sorriderei, potendo.

Margherita ha rifiutato l’abiura. Due volte. È salda, Margherita, come io non lo fui mai fra le sue cosce mentre lei rideva ripetendo “Chi segue la legge dell’amore è sopra il peccato”, dell’Almarico di Benè, maestro del nostro maestro Segarelli.

«… e che la Chiesa di Roma, che il Papa e i cardinali, i chierici e religiosi occupano e sostengono, non è la Chiesa di Dio, ma una Chiesa biasimata, senza frutto. Senza frutto. Senza frutto 

Tre volte lo ripete, “senza frutto”, forse quattro, con quella erre ostentata, prima di fare un altro cenno al boia, con un mezzo sorriso come lo stesse invitando a servirsi dal desco. “Prego messere” – sembra dirgli – “accomodatevi”.

La tenaglia arriva, si avvicina, si ferma sulla spalla destra, sulle ossa esposte, slogate, passa alla sinistra, scende fino al costato; cerca carne non maciullata, non bruciata, non strappata, poi desiste e si stringe sul miscuglio pietoso delle pudende.

Sono in una stanza al piano nobile. Prima dell’alba sono venuti a prendermi nei sotterranei e mi hanno portato qui. Bernardo vuole la luce, non il buio. Sento gli uccelli, il sole è alto e caldo fuori dal palazzo del Vescovo. Credo sia la mezza ma non ne sono sicuro. Tre giorni fa combattevo ancora. Tre giorni fa, barricati dentro l’ultima stanza, murati vivi dentro la rocca, Longino parlava ancora di speranza, Margherita di fuga, io di resistenza.

«Si stancheranno» dicevo.

«Di mille siamo rimasti in tre» diceva lei. 

«Appunto, tre di mille, vedrai che ci daranno per morti» dicevo a lei che voleva infilarsi nel tunnel, come me certissima che dal budello saremmo usciti illesi. Le legioni del Vescovo erano impegnate altrove, a stanare e infilzare bambinelli e vecchi per completare la loro divina missione.

Fu proprio il budello a intrappolarci. Le milizie irruppero e noi scappammo, mettendoci a strisciare sotto terra. Finimmo dritti in mezzo al bosco, oltre le mura, io sbucai per primo, per nulla prudente, spavaldo e idiota, saltai fuori dalla buca, dritto in bocca ai lupi: il fango non riuscì a nascondermi al cavallo di Bernardo e alle sue froge e al collo che si scossero subito, facendolo arretrare. Giusto mentre Longino usciva, uno dei soldati si accorse di me, quindi di tutti. Ci furono addosso in quattro. Poco dopo, scorsi Margherita a terra, sanguinante, che veniva trascinata via da un omuncolo, certo non un soldato, nemmeno un prete, forse un contadino gonfio di livore santissimo.

Il fiato mi gorgoglia nella gola. Resisto. Respiro e resisto. Penso alle cosce di Margherita, alle braccia distese e morbide, ai muscoli contratti nell’unione. Il pensiero è materia, mi dico, si può spostare, e allora penso a noi soli, a lei in mezzo agli altri, alle occhiate che mi toccavano, alle mani che mi raggiungevano.

Vedo l’amore dietro di me, e dentro, sento il suo contrario davanti. Chi segue la legge dell’amore è sopra il peccato, Bernardo, penso mentre ti fisso oltre la lama di palpebra che riesco ad aprire.

«Che la Chiesa di Roma è quella meretrice che ha rinnegato la fede di Cristo, di cui scrive Giovanni nell’Apocalisse

“Meretrice” la chiamavo e lei rideva del disfemismo, dell’allusione, delle segretissime nostre complicità.

Le cosce di Margherita, la sua bocca aperta, la risata, le gocce di sudore. Lei che mi dice di voler essere qualsiasi cosa, di poter essere e fare qualsiasi cosa. Margherita che trema, Margherita che mangia, che dorme a bocca aperta, rannicchiata come un cucciolo, Margherita che balla, mi bacia, scappa per farsi raggiungere. Margherita che si solleva le gonne e fa la ruota come un pavone o una bambina. Margherita che quando pensa si gratta la testa e quando ride arriccia il naso. Margherita con gli occhi sbarrati, la sclera bianchissima che spicca nell’ombra. Margherita che piange di paura nel vedere le legioni del vescovo, che urla nel sentire le urla dei nostri amici massacrati. Che cammina fiera, in ceppi, a testa altissima. Margherita che spiega per bene il nostro pensiero, la filosofia, parla di purezza, di semplicità, di amore. Margherita che ripete “Chi segue la legge dell’amore è sopra il peccato” e quando ride arriccia il naso.

Bernardo ripete “meretrice”, il boia sputa, poi stringe. Io non grido.

Margherita cede, la sua testa crolla come disarticolata, tra le braccia slogate, spolpate, scarnificate, legate alla catena che pende dal soffitto. 

Il pulviscolo nell’aria, la luce bianca nel sangue nero a terra davanti alle unghie pulite dei piedi di Bernardo. Sono piedi giovani, ordinati, ben tenuti. Sembrano affamati, come tutta la sua figura. È al suo primo mandato, Bernardo, e ha fame.

Io, oggi, sono uno dei primi.

«Che tutto il potere spirituale, che fin dall’inizio Cristo diede alla Chiesa, si è trasferito nella setta di coloro che si dicono Apostoli o dell’ordine degli Apostoli, setta che essi definiscono spirituale, mandata e prescelta da Dio in questi ultimi tempi; che essi soli, e nessun altro, possiedono il potere che ebbe l’apostolo san Pietro

Setta?” No che non è una setta, non è mai stata una setta, urlerei, se potessi, a Bernardo che sventola il suo libro, i suoi appunti che lui chiama “miei”.

«Meretrice e setta. Così chiami la Chiesa di Cristo, Satana!»

«Il primato,» gorgoglio, «più che altro quello

A cosa serve spiegare a chi crede di avere già in mano tutte le spiegazioni del mondo, a chi prende un verbo e lo trasforma nel suo contrario, a chi lorda il nome di Dio e del suo amore nella melma, a chi non sa cosa sia l’amore?

È cieco, il povero Bernardo, dietro ai suoi occhi gonfi di bile, pieni di ego, certezze, illusioni. È cieco e sordo dentro e fuori dal suo cranio lucido, rasato di fresco. Devono averglielo sistemato questa mattina, credo, mi pare di ricordare che ieri fosse diverso. Oggi sembra appena uscito da un’udienza papale. È lindo come ritiene sia la sua anima. Omnia munda mundis, povero Bernardo, omnia munda mundis.

Il boia sbatte le tenaglie fra le braci, la fiamma sale. Il volto è coperto da un sacco a punta, di tela grezza, gli occhi – esposti dentro due rombi perfetti – sembrano chiari. Ritorna e infila le punte incandescenti tra le dita del mio piede destro, le ultime tre ancora attaccate. Le conficca nella carne bruciata e aspetta che urli. Anche Bernardo vuole sentire i miei latrati; nessuno dei due probabilmente sa che i nervi sono già stati recisi e che il mio non è stoicismo: resisto al dolore perché mi hanno già impedito di provarlo.

«Quattro. Che Gerardo Segarelli di Parma fu il fondatore di questa setta che fu la nuova pianta di Dio, che produce germogli perché piantata sulle radici della fede.»

Margherita piange. Un nuovo boia è entrato nella sala, un’ombra esile controluce che regge i suoi ferri nelle mani guantate. Le ha strappato i seni, un brandello alla volta, infuocando le morse a ogni attacco.

Chi segue la legge dell’amore è sopra il peccato. Ci credi, tu, Bernardo, alla legge dell’amore?

«Cinque. Che soltanto essi, che si dicono Apostoli, appartenenti a detta setta o ordine, costituiscono la Chiesa di Dio e si trovano in quello stato di perfezione in cui vissero i primi apostoli di Cristo; e perciò non sono vincolati all’obbedienza verso alcun uomo, né al sommo pontefice né ad altri, poiché la loro regola, proveniente direttamente da Cristo, è libera e la loro vita è perfetta.»

Setta? Di nuovo questa parola? E da te poi, Bernardo, da uno del tuo ordine, della tua risma? E di quale regola parli, poi, mi piacerebbe tanto saperlo. Nessuna regola, Bernardo, è questo l’unico cardine: le regole che gli uomini fanno in nome di Cristo sono regole che gli uomini fanno in nome di Cristo, non sono Cristo, né le sue regole, ammesso ne avesse oltre al perseguimento del bene. Oltre all’amore, Bernardo. L’amore, Bernardo, l’hai provato mai?

«Sei. Che né il Papa, né alcun altro, può ordinare loro di lasciare quello stato così perfetto di vita, e neanche può scomunicarli.».

Perché il Papa è un uomo, Bernardo, pensaci! È un uomo, non è Pietro, non è Cristo, non è Dio. Solo un uomo e che poi quello stesso uomo che tu idolatri ci abbia dato fuoco, non conta, Bernardo? Che per mezzo del suo vescovo Raniero di Vercelli abbia raso al suolo Stavello, massacrato mille e mille anime, fatto scempio di anziani, gravide, bambini, quello non conta, Bernardo? Come puoi pensarti santo, come puoi restare pulito? Non è tuo l’ordine? Non sei tu che mi hai interrogato, non sei la penna che ha scritto per fomentare il vescovo? Non è tua la testa che ha acconsentito anzi invocato il martirio? Tua e di tutti quelli come te, della tua razza, fanatici isterici, sodomiti maledetti, feccia della feccia dell’umanità. Tua e di quelli che sapevano e stringendosi nelle spalle non hanno detto nulla. Tua e di tutti quelli che hanno visto, letto, sentito e comunque obbedito, e sono andati oltre, a testa bassa per la vergogna.

«Sette. Che ogni appartenente a qualsiasi stato ed ordine religioso può legittimamente passare al loro modo di vita, stato o ordine, sia egli religioso o laico; così che un marito senza il permesso della moglie e una moglie senza il consenso del marito, possono abbandonare lo stato di vita matrimoniale per entrare nel loro ordine. E che nessun prelato della Chiesa romana può sciogliere un matrimonio, mentre essi soltanto possono farlo. Otto. Che a nessuno, appartenente alla loro vita o stato o ordine, è lecito entrare in altro ordine o sotto altra regola senza commettere peccato mortale, né sottomettersi all’obbedienza di qualsiasi uomo, perché ciò comporterebbe un decadimento da una vita più perfetta ad una meno perfetta.»

Non l’ho mai detto, cane! 

Noi non siamo voi, né lo siamo mai stati, Bernardo e non essendo voi, non avremmo mai e poi mai chiuso le porte a chi volesse uscire, oppure entrare, restare o andarsene. 

L’amore non può avere porte, Bernardo, perché l’amore non ha muri. Tu, invece, hai preso le nostre parole, le hai masticate nel tuo alito fetido e le hai risputate sulla carta; hai detto che mangiavamo ratti e sterco e sterco di ratti. Ci hai accusati di aver distrutto Varallo, Mosso, Coggiola, Flecchia, i dintorni di Crevacuore e diverse case in Mortigliengo e Curino. Hai giurato di avere prove e testimoni pronti a giurare e giuramenti su giuramenti circa i furti nelle case e nelle chiese. Di Trivero hai creduto a quel prete sodomita, lo stesso che ha dato fuoco alla chiesa dopo le nostre parole, l’invasato, che non voleva che i muri le conservassero, il pazzo.

Hai detto che fornicavamo con le bestie. Hai usato i tuoi verbi orrendi per infangare i nostri nomi, bruciare Gerardo che hai chiamato “l’eresiarca”, e incendiare gli animi buoni che avevamo intorno e poi passare a fil di lama gli altri. 

Ti hanno creduto tutti, Bernardo, proprio tutti. Nessuno ha avuto il coraggio o ha osato mettere in dubbio le tue lettere, ovvero quelle che tu hai spacciato per mie. Quattromila ne hai fatte scrivere e spedire, cane maledetto, per confutare le mie, imbrogliarle e dimostrare la colpa. Una penna d’oca francese e ingiudicabile, guidata dalle penne benedettine dei tuoi santi, santissimi, abilissimi, copiatori amanuensi.

Chi avrebbe mai dubitato di te? Di te e dei tuoi inganni? Di te e dei tuoi Sermones? 

Di te e del tuo cappello, di te e Tolosa, Bernardo, non si può certo dubitare.

«Nove. Che nessuno si può salvare ed entrare nel regno dei cieli, se non appartiene al loro stato e ordine, poiché fuori dal loro stato o ordine, d’ora in poi, nessuno si salverà più.»

Fuori dall’amore, Bernardo, fuori dall’amore, non dal nostro ordine, Santità, che il nostro ordine è un ordine degli uomini, e come ordine degli uomini non può avere pretese divine, non ne ha, non ne vuole avere. Non capisci,  Bernardo, lo so. Non puoi farlo perché tu sei pecora, Bernardo, pecora in pelle di lupo.

«Dieci. Che tutti coloro che li perseguitano, peccano e si trovano in stato di dannazione e di perdizione.»

Come chiunque perseguiti chiunque, Bernardo, non solo noi o chi ci è intorno. 

«Undici. Che nessun Papa della Chiesa di Roma può davvero assolvere qualcuno dai propri peccati, a meno che non sia tanto santo quanto fu l’apostolo san Pietro.»

Nessuno può assolvere nessuno. 

Nessuno dovrebbe poter assolvere nessuno. 

Nessuno può condannare nessuno. 

Nessuno dovrebbe condannare nessuno. 

Da tre lettere parte la tua accusa.

Tre e non mille, Bernardo, tre lettere sulle quali non ho mai posato occhi, o penna, e certo non pensiero. Lettere farneticanti, latrati di iene inferocite che blaterano di regole, misticismo, rivelazioni, condanne, ferocia. No, Bernardo, nessuna rivelazione, non per come la tua ricerca dell’eresia la intende. Io ho detto e ripetuto e scritto che le leggi degli uomini valgono poco perfino per gli uomini, che il Cristo predicava l’amore, condannava i farisei, l’ostentazione, i fasti, gli ori e le palme più di quanto non abbia mai condannato croce e crocifiggilo.

Ho detto e ripetuto e scritto che l’amore non ha niente a che spartire con il potere e con gli ori, e che per questo noi siamo la nostra stessa medicina. Siamo il farmaco che cura e che avvelena. Che guarisce oppure ammazza.

Chi segue la legge dell’amore è sopra il peccato, Bernardo, senza peccato.

«Dodici. Che tutti i prelati della Chiesa di Roma, dai più alti ai meno importanti, dall’epoca di san Silvestro quando si allontanarono dal modo di vivere dei primi santi, sono prevaricatori e ingannatori, eccetto fra Pietro da Morrone che fu Papa col nome di Celestino.»

Oh, finalmente! Questa sì che è mia, certo forse io l’avrei detta meglio, ma può andare, e Margherita ne riderebbe, se solo potesse sentirla.

«Margherita», provo a dire, ma l’unica cosa che mi esce dal labbro è un suono rauco, un ribollio di bava, grumi, qualche erre. La sua bella testa è reclinata, i pochi capelli che le spuntano a ciuffi fumano, l’odore delle nostre carni riempie la stanza anche con le finestre alte spalancate al sole.

È un marzo caldo, questo, caldo e fortunato, direbbe Longino se non fosse morto questa mattina all’alba. 

«Quindici. Che ogni uomo e ogni donna possono lecitamente, insieme e nudi, coricarsi nello stesso letto e lecitamente toccarsi l’un l’altra in ogni parte del corpo e scambiarsi baci senza commettere nessun peccato. E che non è peccato congiungersi sessualmente con una donna – se si è eccitati carnalmente – per far cessare la tentazione.»

«Che ne è stato del resto?»

«Cosa dice?» – chiedi al tuo boia senza nemmeno guardarlo.

Non dico nulla, penso solo che mi devo essere distratto, e che se mi sono distratto è per via della tua ignoranza, Bernardo, non per il dolore, che quello, “Santità”, non lo sento più, èché il fuoco brucia ma cauterizza anche e mentre arde le carni, recide i nervi. 

«Che giacere con una donna e non accoppiarsi carnalmente con lei è un miracolo maggiore che far resuscitare un morto.»

Il godimento del boia di Margherita esce anche nell’ombra. Prova piacere nello spingere la mazza fra le sue gambe, nel girarla, nel vederla saltare e contorcersi. Nel sentire le grida che scoppiano nella gola della bellissima figlia della contessa Oderica di Arco. Eccola, la mia contessina: la vedo uscire dal convento, in passeggiata, capo coperto, ciocche sfuggenti, passo audace più da soldato che da educanda. È alta, Margherita, giovane, fiera, una puledra purissima; mi guarda, sorride mostrando i denti, la sfacciata, e mentre lei procede senza perdermi di vista, io capisco mio padre e le sue parole. «Come si fa a resistere, figliolo?», mi diceva, «ma soprattutto, perché resistere?»

«Ti trascineremo per le vie della città, Satana, affinché tutti vedano.»

Cosa vuoi che vedano, Bernardo, se son tutti ciechi, come te?

«Diciassette. Che è vita più perfetta quella condotta senza voti che coi voti.
Diciotto. Che per pregare Dio una chiesa consacrata non è più idonea di una stalla per cavalli o di un porcile.»

Vai piano, Bernardo, o ti ritroverai presto di nuovo nei morsi della noia. Chi prenderai dopo di me?

«Diciannove. Che Cristo si può adorare così bene nei boschi come nelle chiese, o anche meglio.»

Sì, va bene, va bene, questa pure è mia, ma rallenta. No, non per me, per me puoi andare anche più in fretta. Anche il boia sembra annoiato, pover’uomo, non sa più dove strappare, di carne non ne trova altra. 

Margherita non piange più e come quando si addormentava dopo l’amore ha la bocca aperta. Non c’è più nulla di suo in lei: le labbra morbide, piccole e rosee, sono grumi di mucose bruciate e nero; la pelle diafana è crivellata di squarci, pustole, croste e brandelli che penzolano; il corpo bellissimo è un cencio rosso e fumante. 

Lo vedo ancora, però, là sotto, lo ricordo nel prato, contro i muri, sulla mia carne, nel naso. Lo sento fremere. Lo guardo correre nei campi, in mezzo alle risaie, sopra gli alberi. Allungo l’indice, l’unico dito che mi è rimasto, verso di lei per dirle ciao e a presto, amore mio.

«E venti. Che per nessun motivo e in nessuna circostanza l’uomo deve prestare giuramento, a meno che non si tratti di articoli di fede o di precetti divini, e tutto il resto può tenerlo nascosto.»

Siamo arrivati, dunque. Siamo a venti. Tutta la mia vita e i nostri pensieri in venti frasi. Che farai dopo, quando mi avrai finito, trascinato, bruciato, disperso, Bernardo? Con chi ti divertirai? A chi dimostrerai il tuo amore? Mi porterai in corteo, me e le mie membra slogate come un martire? Oserai fare di me un martire? E per cosa? Non lo sai, Bernardo, che nessuno vedrà nulla, là fuori? Non oggi, e nemmeno domani, ammesso riusciate a tenermi in vita ancora un’altra notte. 

Prima o poi però, Bernardo, qualcuno parlerà di te, di voi, di tutti voi, e anche di noi, in mezzo agli altri noi, alle migliaia e migliaia di altri noi che avete massacrato e che massacrerete in nome di un amore che i vostri nasi non hanno mai nemmeno annusato, in nome e per conto di una fede che avete tradotto, abusato, mercificato per i vostri scopi, per la vostra causa: i vostri ori. Qualcuno parlerà, Bernardo, e qualcuno scriverà e non importa se brucerete i libri, se dilanierete le penne. Prima o poi, Bernardo, qualcuno leggerà di tutto questo fervore, di tutto questo vostro santissimo e giustissimo amore.

«È morto, Eccellenza.» 

«Non respira più?»

«No, Eccellenza.»

«E il cuore?»

«Come dite, Eccellenza? Volete che lo strappi, Eccellenza?»

«E per cosa, di grazia?»

«Non lo so, Eccellenza, ditemelo voi.»


  1. Il racconto “Chi segue la legge dell’amore è sopra il peccato”  è pura fiction anche se le date e i nomi provengono da diverse fonti stando alle quali pare che in essi si celi almeno una dose su due di verità. ↩︎

“Storia di fra Dolcino eresiarca”, autore anonimo.

Alcuni link per approfondire, casomai:

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