L’importanza di chiamarsi ERNESTO.

Sì, Ernesto, e non Paola, Matilde o Guendalina.
Già. Perché – PUNTO NUMERO UNO – Ernesto, casomai gli si sganciasse un bottone, al massimo passerebbe per tamarro, certo non per un’adescatore a cottimo. Se poi Ernesto non fosse un rospo – PUNTO NUMERO DUE – ma diciamo giusto una nano-unità sopra il confine della cessitudine,  dovrebbe pure sputar sangue per dimostrare di avere più di quattro neuroni quattro (di cui almeno due impegnati a laccarsi le unghie).

PUNTO NUMERO TRE: Ernesto non dovrebbe sbattersi più di tanto per decidere cosa mettersi per andare al lavoro. Quattro abiti grigi e quattro blu, magari un gessato sobrio qua e là per stagione, et voilà: il gioco è fatto.

Ernesto apre l’armadio, prende una delle quindici camice azzurre con le iniziali, uno degli abiti in fresco di lana, uno dei trenta calzini blu un paio di scarpe di buona fattura e fine della menata.

Guendalina invece no.
Guendalina (o MariaPaola, o Matilde o Luisella) deve sapere che se ha un ruolo di prestigio (o wanna-be tale) innanzitutto le toccano i tacchi.

E alti, pure, che le ballere fan segretaria, i mocassini casalinga dedita al golf e il tacco otto, con buona pace delle mie Ferragamo, il tacco otto, dicevo, quello tanto raccomandato dall’associazione per la prevenzione delle callosità e dal comitato riunito contro la sciatalgia precoce, fa amministrativa e un po’ maestrina.
Il tacco 12 fa male, quello 10 pure, ma un pelo meno e ce la si fa.

 

CONTINUA:

http://www.womenusersmanual.com/2011/05/limportanza-di-chiamarsi-ernesto-primo.html

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