Se piove e metti gli occhiali da sole, o ti chiami Ray Charles o passi per strano. Se ci sono 40 gradi all’ombra, fa così caldo che ti si scioglie il cruscotto dell’auto e tu esci in tuta da sci e MoonBoot, finisci alla neuro. Se, viceversa, fa un freddo becco e tu esci con i capelli bagnati, in maglietta e braghini e giri in cabrio, se ti va bene, torni a casa con l’influenza. Se ti va male, con la polmonite. Se l’inverno è troppo rigido, o il sole estivo troppo blando, il tuo vino non prenderà i bicchieri che ti aspetti. Se abiti sulle rive del Po’ e pianti pomodori pachino, quelli, se sei bravo e li curi tanto, magari crescono, ma non puoi certo aspettarteli buoni e succosi e saporiti come quelli della Costiera. Nemmeno se hai una serra, lampade abbronzanti e stampe tropicali alle pareti. Neppure se tu, ai tuoi pomodorini, racconti ogni sera la fiaba della buonanotte con l’accento napoletano. Se in inverno lasci sul balcone una pianta da appartamento e abiti a Bolzano, la pianta muore.
Il clima, dunque, è fondamentale. E non solo per i pomodori, per i vestiti e gli accessori, per le piante e i raccolti, ma pure per gli affari. Dentro agli uffici. Tra le persone. In catena di montaggio, dietro ai banconi del front-office e alle stanzette del back-office. Al tavolo dei consigli di amministrazione e a quello della mensa.
Se il clima è FAVOREVOLE, il processo – quale che sia – scorre via liscio, veloce, sereno e – soprattutto – proficuo. Se non lo è, s’inceppa, s’incarta, s’intoppa. Il processo s’intoppa e i processanti s’intristiscono. Più i processanti s’intristiscono e meno lavorano bene. Meno lavorano bene, più irrigidiscono il clima.
Perché il clima sia favorevole, ci sono condizioni endogene, ovvero interne, e condizioni esogene. Anche in azienda. Visto che quelle esogene appartengono ad una sfera influenzabile solo dalla provvidenza, dal sistema economico internazionale e dal marketing, ci concentriamo su quelle endogene. Fra le endogene, alcune vanno settate in partenza e fanno rima con leadership, autorevolezza, rispetto, metodo, norme e buona educazione. Fra quelle su cui si può metter mano in itinere, ce ne sono alcune che richiedono interventi correttivi (per regolare la temperatura) e altre, più definitive, che necessitano rimozioni o cambiamenti radicali.
Scendo dal pero, ora e parlo come mangio.
Se ti capita troppo spesso di litigare con un collega ma credi valga la pena sistemare le cose, prova a fermarti e a guardarti come se non fossi tu. Se il tuo top-management ti esclude, non ti racconta mai niente e – quando lo fa – hai sempre la sensazione ti nasconda qualcosa, prova a chiederti perché. Se l’ufficio intero, il venerdì, va a giocare a freccette e nessuno, mai, invita te, o puzzi o forse c’è qualcosa che non va. Se quando suona la sirena (e che suoni davvero o no, non cambia), cadono tutte le penne, all’unisono e c’è un fuggi-fuggi che neanche alle elementari, prova a chiederti se non sia il caso di alzare la temperatura. O – per lo meno – di dare un’occhiata al termostato.
Non lavoriamo con i droni, mai, e per quanto ci raccontino che il lavoro sia solo lavoro e che i problemi vadano lasciati a casa, che non ci debba essere o non ci sia mai niente di personale, visto che nemmeno noi siamo droni (non tutti, almeno), c’è da pensare che il primo effetto del clima interno, di quelle che pomposamente, da maestrina, prima ho chiamato “condizioni endogene”, sia sull’umore. E a come l’umore, il nostro e quello delle persone che ci circondano e che lavorano con noi e per noi (e a volte, contemporaneamente, contro) sia la prima fonte positiva o causa negativa del rendimento.
Pensiamo alla scuola. Se la maestra di italiano è brava e fa stare bene i bambini, la classe amerà l’italiano. Se fa schifo, la classe intera farà schifo. Già: “é brava E fa stare bene i bambini”. La congiunzione è fondamentale. Certo, i bambini faranno lo stesso i compiti. Diventeranno adulti e scriveranno scuola senza la q. Ma magari non leggeranno volentieri. Scriveranno maluccio. Si disinteresseranno della lingua, della poesia, della storia e di tutte le materie umanistiche a seguire. (E noi continueremo ad avere trote nei posti di potere).
Così, se in azienda, dentro e fuori dagli uffici, il clima è positivo (al contrario: non è teso, non è freddo, non è asettico), i rendimenti di chi ci lavora cresceranno. Le penne smetteranno di cadere e le persone torneranno a correre. Come nuove. Appena scartate.
Se io lavoro con te e tu m’insulti (una volta), o mi tratti male, o ti prendi sempre tutti i meriti ma mai uno straccio di responsabilità, il clima si raffredda. E la mia voglia di lavorare per te cala. Se quando litighiamo io alzo la voce, non ascolto, t’interrompo e m’imbufalisco, anche ammesso di avere ragione, passo dalla parte del torto. Se lo fai tu, pure. Se non mi chiedi mai come sto o come sta il mio bambino, gatto, rotweiler o pesce-spada, né mi racconti mai niente di tuo, ma resti algido come un sasso e non mi rendi parte dell’azienda e dei tuoi/suoi/nostri successi, non puoi pensare che io – da solo, o da sola – me ne senta parte.
Il clima, quello interno, va coltivato. Con la stessa cura con cui il marketing dovrebbe coltivare quello con i clienti. Come l’autorevolezza e la leadership vanno meritate, a ogni livello e su ogni piano (pianerottoli e sottoscala inclusi).