Da quando ho venduto la casa spaziale mi è rimasta una Flos da tavolo degli anni Settanta davvero molto bella. In effetti ne avevo tre, ma la prima è sparita nell’affido condiviso delle lampade post separatio e la seconda durante una colluttazione.
La superstite non ha più il cappello originale ma il vero problema è che le è sempre mancato un interruttore e per accenderla tocca infilare il cavo direttamente nella presa. Non che sia chissà quale tragédie dans la famille, ma un po’ mi rode e soprattutto impiccia. Quindi stamattina, prima di attaccare a scrivere, mi decido e vado in ferramenta. Ne scelgo una di fiducia la cui proprietaria mi conosce da sempre.
– Ciao cara, cosa ti serve?
– Ho questa lampada bellissima e ci vorrei mettere un interruttore. – le dico, dopo i convenevoli di rito (“Ciao Kamal, come stanno i bambini, Kamal”).
Lei si gira e da uno di quei cassetti magici dei ferramenta di periferia estrae un interruttore e me lo mostra.
– Eh, però, guarda Robi che il signore che ci fa questi lavoretti adesso è in vacanza. Hai qualcuno che te lo faccia?
– No, cara, non ho nessuno, ma ci penso io. Si tratta di tagliare qui (indico un punto a caso sul mio cavo), liberare i fili, infililarli da qualche parte… In ogni caso non credo si tratti di un impianto nucleare. Posso provarci, al massimo cercherò un tutorial – le dico, ma subito mi blocco.
Houston abbiamo un problema: il cavo elettrico dell’interruttore nuovo è la metà del mio (che mi sono portata in borsa, per il non si sa mai) e per di più è a due fili, mentre l’originale è a tre.
A questo punto le chiedo un cavo con interruttore e decido di sostituire tutto.
– Sei sicura di farcela? – mi ridomanda, premurosa.
Alle mie spalle, una signora in coda col marito fa un bell’Ah-ha-ha!.
«El dise semper mé – ride – che noter fonne sa ramgiòm én tot.»
[Lo dico sempre io che noi donne ci arrangiamo in tutto.]
«Gom mia bisogn dé nisù»
[Non abbiamo bisogno di nessuno]
Il marito scuote la testolina, divertito:
«A-là, A-là… Tananai*. L’è per chèl che tà mét mai molàt, né, belèsa?»
[Va’ là, va’ là… Tortellina. È per quello che non mi hai mai mollato, vero, bellezza?]
Nota numero uno.
Ogni scusa è buona per attaccare bottone.
Nota numero due.
Le lampade da tavolo, dette anche abat-jour, degli Anni Settanta avevano un filo giallo e verde, uno azzurro e un altro nero o marrone: rispettivamente messa a terra, neutro e fase.
Oggi la messa a terra non serve più. Un cavo da tre pistolini (gergo tecnico, of course) può essere sostituito con uno da due senza restarci secchi e/o mandare in corto il quartiere.
Nota numero tre.
Visto che non esiste un tutorial che lo spieghi o che, se esiste, è indicizzato da cani, ecco le istruzioni per arrangiarsi.
Come sostituire il cavo a tre fili di un abat-jour anni Settanta senza interruttore con un nuovo cavo a due con interruttore (in dieci punti più due omaggio)
- Comprare il filo nuovo, prendere pinze, forbici e cacciavitini e poi smontare la lampada.
- Fotografare i fili (meglio se da diverse angolazioni).
- Liberare i fili dalle micro-vitine che li tengono attaccati alle cose che fanno funzionare la lampada.
- Togliere il cavo a tre fili dalla lampada.
- Usare una pinza o un paio di forbici per togliere i tappini dai due fili del cavo nuovo.
- Inserirli a caso i due fili nuovi negli alloggiamenti dei vecchi (azzurro e nero).
- Dimenticarsi della messa a terra.
- Provare ad accendere la lampada prima di rimontarla.
- Se non funziona, chiamare un friend with benefit con codice ATECO 43.21.0.
- Se non c’è nessun friend with benefit con il codice ATECO di cui al punto 9, iscriversi a Tinder per cercarne uno.
- Se funziona, rimontarla.
- Farsi un caffè per autocongratularsi.
Morale.
Se nel tuo giro pizza non c’è un friend with benefit 43.21.0. e hai un problema con un’abat-jour vintage, con i guanti di gomma di Dexter, le scarpe da ginna, un piano d’appoggio di legno, un cacciavite piccino-picciò e un filo di ricambio da ben 75 centesimi di euro, puoi arrangiarti da sola.
Coincidenza
Leggendo l’oroscopo di Brezsny ho scoperto che per la Bilancia sta iniziando la stagione dell’illuminazione.
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“Tananai”, secondo l’etimo dialettale, indica un soggetto ingenuo, ma nel (e per il) Bresciano ha anche una connotazione affettuosa, decisamente bonaria. Da qui, la mia libera interpretazione in “tortellina”.