Detesto scrivere di soldi perché non mi piace toccarli, gestirli e mi fa schifo anche solo parlarne.
Da beata illusa conscia di esserlo, sogno un mondo senza denaro e a mia parziale discolpa (più che altro per inquadrarvi il soggetto) aggiungo pure senza rabbia, cattiveria, malattie, tasse e rotture di maroni in eccesso. Già che ci siamo, esageriamo e leviamoci anche la sfiga.
Tornando sulla Terra, con i piedi incrociati sotto la mia sedia, per quanto mi piaccia sognare, so che il denaro serve e do ragione all’amico Aromatico* quando lo chiama energia e di quest’energia io ne produco abbastanza per vivere bene, per sfamare il branco e anche per permettermi di non pensarci. Almeno fino a che non sono costretta a farlo.
La fattispecie odierna riguarda le tasse: è luglio e a luglio il commercialista chiama me come ogni altro portatore sano di partita IVA [da ora, per brevità: P.S.D.P.I.] e ci fa piangere più di quanto non faccia un lutto.
Chiama, ed essendo una brava persona, fa i suoi preamboli in stile “Ciao Kamal, tutto bene Kamal? I bambini hanno mangiato, Kamal?”** e poi arriva al punto, agli zeri e pure alle virgole.
Il P.S.D.P.I. ascolta, zitto zitto e a testa china, metabolizza e poi riflette. Da lì parte con le promesse, un po’ come i buoni propositi al ritorno dalle vacanze e quelli di capodanno messi insieme e poi elevati alla enne.
«Da gennaio, solo anticipi. Basta buonismi, concessioni, dilazioni, promesse. L’anno prossimo niente pro-bono.
Vuoi un libro? Mostrare moneta, vedere parole.
Il tuo passato può in qualche modo ripercuotersi sul mio futuro? Se decido di scrivere, lo faccio in ghost al 100%. Niente citazioni. Nessun ringraziamento.» – giura, il portatore.
Poi i mesi passano.
Il P.S.D.P.I. paga le sue tasse vendendo entrambi i reni su E-bay, nonché tagliandosi le vene per lungo, e poi va avanti, dimenticandosi di tutte le sue promesse e rimangiandosi quasi tutti gli impegni presi con se stesso.
Fino al luglio successivo. O alla prossima cantonata.
Ora.
Magari tu che leggi stai pensando che se il P.S.D.P.I. ripete i suoi errori e finisce a terra, la colpa sia solo sua. Se è questo che pensi, bravo, ci hai preso e sei nel giusto: il P.S.D.P.I. cade e lo fa con una certa frequenza, sbaglia, e capita pure che si faccia fregare. O che aiuti qualcuno più di quanto avrebbe dovuto o potuto fare. O che aiuti qualcuno che col cazzo che andava aiutato.
Ma ogni volta che si ritrova a terra, il P.S.D.P.I. cambia prospettiva e poi riparte: non si lamenta, non si lagna, non si strappa i capelli (anche perché, in tutta franchezza, belli come sono sarebbe un peccato!). Si spazzola e riparte.
Perché per il portatore sano di partita IVA qui presente, nonché sottoscritto – sottoscrivente – i soldi contano come la gloria: cioè pari a zero.
Trovarsi a terra, poi, gli fa solo venire voglia di rialzarsi.
Come quando gli capita di perdere un battito, o di sperare di non trovare la troponina nel suo stesso sangue, o di svegliarsi dopo quattro giorni di letargo auto-indotto, il portatore si stiracchia, guarda fuori (quando ha un fuori), e poi si tira su e nutre il suo branco, dal quale a sua volta lui stesso è alimentato in parole, coccole, dispetti e risate.
E così procede, di anno in anno, di battito in battito, ben oltre il limite che il P.S.D.P.I. non credeva di poter mai superare, chiudendo storie sbagliate ma anche stringendo qua e là nuovi legami che poi diventano parte del branco, raggiungono l’isola e trovano un posto.
Note a piè di post:
*Aromatico: nome, non aggettivo;
** Dal film “Lezioni di cioccolato”
Credits:
Foto di
Felix Russell-Saw
Photographer / Film maker ↟ Instagram: @Felixrussellsaw