Credevi di essere in forma, eh? Ma sì, i like sotto gli scatti col vestito che nemmeno sapevi di avere, le occhiate per strada, gli amici che ti riempiono di complimenti e gli sconosciuti che giurano di non credere tu stia entrando nel 43° anno di vita.
E poi gli specchi, i jeans che portavi prima di figliare, i capelli azzurri che fanno un po’ fata turchina e un po’ @adottaresoluzionipunkpersopravvivere.
Per non parlare di come ti guarda lui, lui quello della foto, il James Bond che tu chiamavi Aziz (1)…
Su quel tuo Feet-Up ti sentivi elastica e flessibile come un giovane giunco, vero?
“Guarda come sono brava?” – dicevi a tutti, testa in giù e prosciutti all’aria.
Felice di aver sputato sangue per tredici anni da ginnasta avevi perfino pensato di andare a cercare la Consoli per ringraziarla per tutti gli insulti, le bestemmie in ugrofinnico e la fame, la fame atavica che non ti è mai passata.
E poi, niente, poi un giorno hai deciso di provare una lezione di yoga e hai chiesto a Larry Page di consigliarti dove andare.
Yoga, sì. Lo yoga fa bene al cuore, ti sei detta, non fa sudare (tanto più che tu nemmeno sudi), non è faticoso come quella robaccia di cross fit da invasati che fa tuo figlio, e – forse soprattutto – non è accompagnato dalla quella merda di UNZ-UNZ-UNZ che spacca i timpani e uccide i neuroni peggio dei cristalli di metanfetamina cattiva.
Siccome volevi un posto vicino a casa (perché lo sai che se devi prendere la macchina ci vai tre volte e poi molli), lui, Larry in persona, ti ha guidato fino a un indirizzo romantico, al numero 12 di Vicolo delle stelle, al Pranajiva di Romana Crainic (con le C dure perché Romana è rumena).
Tu sei entrata, voce bassa, faccetta vergognosa da prima volta, hai salutato con il migliore dei sorrisi da @ModaModesta e ti sei infilata i tuoi leggings e la maglietta nera.
Profilo basso, Don Juan in testa, capelli raccolti. Pronti? Via.
Hai raggiunto la sala: legno chiaro, pareti luminose, aggeggi al soffitto per l’antigravity e tappetini viola pronti da srotolare.
Fino lì tutto bene. Poi sono arrivati loro: dodici sculture più una in pole position (che però non conta perché la maestra ci sta che sia perfetta, no?) e tu hai fatto finta di NON notare i muscoli scolpiti, di NON vedere i tendini, la pelle più liscia del derma di tuo figlio adolescente, di NON sbarrare gli occhi, né metterti a piangere quando, dopo venti minuti – non di più – di fatica sovrumana, di quella che: a) non avevi mai e dico mai provato in tutta la tua vita; b) nel caso l’avessi provata, ta-a-sei-scurdata da un pezzo, hai visto che loro, i Magnifici Dodici, non erano manco sudati. E su quel tappetino viola (che per altro tu hai steso al contrario), di colpo, illuminata come Paolo di Tarso sulla via di Damasco, hai capito che:
a) no, non sei mai stata in forma e quando dico mai intendo proprio MAI;
b) non sei elastica, non sei flessibile, e più che un giovane giunco sei una patata. Vecchia. Di quelle che sono lì lì per germogliare;
c) no, non sei forte, e se tuo figlio si lascia battere, è solo per pietà.
d) non è neanche vero che tu non sudi, visto che dopo cinque minuti e mezzo eri bagnata come un pulcino;
e) che il delta tra come credevi di essere e come sei fa spaccare dal ridere.
f) e che Celeste Barber dev’essere tua sorella.

Note
- Lo chiamavo Aziz perché ha la pelle scura anche quando non va in cima alle montagne, dorme sui sassi, piove e tutti gli altri umani sono verdognoli o grigiastri e mi ero convinta che arrivasse dalla ‘Mezzaluna fertile’ (J. Diamond – “Armi, acciaio e malattie”). Dal test del DNA è saltato fuori che mi sbagliavo di grosso perché Aziz è un Angus Mac qualcosa.
- Per sapere da dove arriviamo basta fare un test del DNA. Noi abbiamo usato MyHeritage: per meno di 80 Euro ti dice che no, non sei davvero italiano.