Non è che non ci parli, io, con il mio ego.
Per fare questo lavoro. No. Per coltivare questa passione Nemmeno. Per fare quello che faccio (ci siamo), senza dover indossare quelle belle camicine bianche, chiuse da tanti laccetti sulla schiena, ho imparato a distinguere tra la soddisfazione per i successi conclamati e reclamizzati di Roberta Giulia Dusi Amidani (Viendalmar) e quelli silenziosi del Fantasma-Madre. E viceversa, ovvio.
RGDA deve raccontarsi, promuoversi, farsi conoscere. E dovrà continuare a farlo per lo meno fino a che:
- non convincerà le cassiere dell’Esselunga, il benzinaio e il fruttivendolo ad accettare pagamenti in racconti, o post o sms;
- non otterrà un affitto in cambio merce;
- non arriverà a pagare la scuola di suo figlio in cambio di compiti corretti o relazioni didattiche editate;
- non vincerà al Superenalotto;
- non deciderà di girare a destra, verso Malpensa, arrivare in aeroporto e prendere il volo.
Il Fantasma-Madre, venduto, promosso e tutelato da RGDA, può farne a meno. Anzi: deve farne a meno. Finito un lavoro, qui, abbiamo l’usanza di cancellare tutto (fatture escluse) e non tenere (mai) nemmeno una copia delle opere scritte, editate o valutate.
Quello che gongola, vedendo le vendite di un committente, o i suoi libri in libreria o le mail degli editori (entusiasti come bambini davanti alla Play), non è l’ego dell’una o dell’altra, ma lo stomaco, che si riempie di farfalle. Innamorato. Felice. Saltellante, addirittura.
Fare lo scrittore fantasma, non vuol dire non gongolare. Ma richiede il silenzio. E il non dire mai “questo l’ho fatto io”.
E non è che non ci parli, io, con il mio ego. È che non lo sento, perché lui, per aiutarmi, è addirittura diventato muto. O io sorda.