Fra le categorie per le quali non devi mai lavorare, la pole assoluta spetta al famigliare e all’amico, altresì noto, e da qui in avanti nominato come, PARENTE-SERPENTE, alias P.S..
Già: mai. E quando dico mai, il mai contempla anche le seguenti ipotesi:
1) Il P.S. ha un’urgenza e l’urgenza in questione è risolvibile solo ed esclusivamente da te;
Non è vero. E anche se lo fosse, sarebbe comunque una fregatura. Quando uno dice “Solo tu puoi farlo”, nove volte su dieci, non l’ha chiesto a nessun altro.
2) La “cosa” gli serve sul serio, ma al momento non può permettersela e solo tu, che sei uno di famiglia, puoi capire;
Come dargli torto? È comodo far lavorare gratis, o semi-gratis, te, che sei uno di famiglia, piuttosto che pagare un altro per farlo e poi doversi anche impegolare in contratti, accordi, e pagamenti. Che orrore!
3) IL P.S. appartiene alla sub-categoria dei LUSINGATOR, di quelli – all’apparenza – carini e coccolosi che ingrassano il tuo ego più del gorgo al mascarpone spalmato sulla polenta;
Lui ti dice che sei il più bravo della galassia, ti incensa e idolatra come i piccoli alieni dell’armadietto di Willie Smith in Men in Black II, tu gongoli, abbassi la guardia e come la abbassi, lui, Imperatore assoluto dei parenti serpenti, attacca.
4) Il mondo sta per finire e solo tu, lavorando per lui, puoi salvarlo.
Certo. Come no?
…Credi stia esagerando? Sbagli!
Lavorare per un P.S., soprattutto per le professioni intellettuali (ma mica solo per quelle), equivale a tirarsi la zappa sui piedi. Perché? …Te lo domandi?
Per dirne una, perché Abele lavorava con Caino e lo sappiamo tutti che fine ha fatto.
E poi, pensa solo che – qualunque sia il tuo lavoro e la tua specializzazione – il cliente che ti sceglie lo fa perché fra tutti vuole te. Se, invece, a sceglierti è uno di famiglia, o un amico, nove volte su dieci, capita che arrivi a te più per comodità/pigrizia che per reale stima in te e/o comprensione del tuo valore come professionista.
Dal punto di vista dell’amico/famigliare, tu rappresenti un affare. Anzi: un affarone!
Sei lì, sei vicino, sei a portata di mano, e lui ha un bisogno che puoi soddisfare tu, senza per altro impazzire a cercare altrove qualcuno che faccia per lui quello che tu fai già di mestiere.
Nel farlo per lui, poi, dato che si tratta di “uno di famiglia”, il tuo sarà – per forza di cose – un trattamento di doppio riguardo: prima in termini economici e poi di risultato, come dire che costerai meno e renderai più di un estraneo.
Dal tuo, invece, lavorare con uno di famiglia è una fregatura solenne, per almeno enne validi motivi, di gravità crescente con il passare del tempo e il progredire della collaborazione:
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nel quotare la tua prestazione l’occhio di riguardo prevarrà, nell’ordine, su: spirito critico, buon senso, capacità imprenditoriali e lucidità;
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in corso d’opera, il P.S., essendo di casa, ha la pretesa di scavalcare chiunque altro e non conosce limiti né orari;
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se c’è qualcosa che ti serve per andare avanti con, o finire il, tuo lavoro e questo qualcosa dipende da lui, sappi che non arriverà mai perché, nell’ordine, lui:
- è impegnato
- è molto impegnato
- è davvero molto molto impegnato
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se ti viene in mente di protestare sul ritardo o – banalmente – vuoi finire il lavoro, e insisti per avere da lui quel che ti manca, sarà capace di dirti che in fondo non è poi tanto urgente e che non serve più come serviva prima (quando te lo chiedeva come se da quel lavoro dipendesse la sorte della Via Lattea).
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quando ci litigherai (e ci litigherai), non avrai uno straccio di contratto cui appellarti. Sappi che anche se ce l’avessi, lui, il P.S., negherebbe comunque. Anche l’evidenza.
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Quando poi, dopo averci litigato (e in alcuni casi, averne addirittura parlato con un legale), lo incontrerai in un contesto famigliare/amichevole, e lui ti saluterà come nulla fosse : “Ciao, tutto bene?”- e a te verrà voglia di strozzarlo fino a farlo svenire, poi rianimarlo e ri-strozzarlo di nuovo, non venire a dirmi che non ti avevo avvisato.
Allora potrei essere una P.S. Se ho una necessità impellente mi rivolgo sempre a persone che: 1- so non mi diranno di no (a meno che proprio non possano)2- mi fido 3- so che non mi chiederanno nulla in cambio (a meno che non ne abbiano reale necessità)4- lo fanno in modo disinteressato, ci mettono il cuore e l’anima. Se poi non ce la fanno: poco male. Ci hanno provato e mi hanno supportato e, nel momento in cui hanno detto: si. Accetto. Hanno dato tutta la loro anima.5 – mi sentirò sempre in debito con loro ma, se non ho la più pallida idea di quali siano le loro necessità, evidentemente è fatica contraccambiare. Nella vita è sempre bello, senza che diventi una situazione di comodo, sapere di potersi voltare indietro e che, in situazioni critiche o anche semplicemente difficoltose, ci sia qualcuno che è lì. Pronto e disponibile a darti una mano.E’ un senso di sicurezza che rende ogni avventura in cui ti lanci meno spaventosa. E’ sapere che puoi rischiare: lavorativamente, privatamente, personalmente. A volte i parenti sono ingombranti. Gli amici, i falsi amici, opportunisti. Ma categorizzare è sempre rischioso. Ho parenti che non ritengo tali a cui non chiederei neanche l’acqua per spegnere un incendio. Ho amici, che non ritengo tali, a cui non presterei neppure i giornalini di topolino della libreria in bagno. Ci sono persone a cui ho chiesto molto. Quando dico molto non intendo solo soldi. Aiuto morale, aiuto concreto. A volte anche lo stimolo per uscire dalla pigrizia da Sonno Profondo, come raccontato da Banana Yoshimoto. Come li ho ricambiati?Per ora solo con un grazie.Poi si vedrà. Stigmatizzare è una condanna che deve sempre avere una correlazione reale. Non è sempre reale che quando qualcuno chiede aiuto possa effettivamente avere bisogno di aiuto. Ma quando le persone sono sole, si voltano e trovano il vuoto: fa paura. L’importante è imparare a dire no, quando non puoi. Non chiedere quando non ti è di necessità. Non dire si quando sai di non poterlo fare. Valutare chi siano le persone di cui ti fidi realmente. La cerchia si stringe a, se ti va bene, 2/3 persone. Il resto è solo gente con cui fare discorsi da bar in modo pressapochista. Roberta
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