Una quindicina di giorni fa, nella mia casella email spunta un invito a partecipare alla prima edizione del Tunisia award. Chi mi scrive è la Signora Amel Karboul, Ministro del Turismo Tunisino. Curiosa come una femmina di macaco (macaca suona male), mi fiondo online a cercare notizie. Mentre cambio sette o otto chiavi di ricerca, scopro che all’evento parteciperanno personaggi chiamati dai quattro angoli del globo e Google mi porta ad Hammamet, mostrandomi scorci da Mille e una notte, un pensiero mi fulmina, interrompendomi.
“E se avessero sbagliato indirizzo?”– mi domando.
“Possibile che abbiano deciso di invitare me, proprio me, che non sono una giornalista, non sono un’attrice, né un’imprenditrice o un editrice? Che non sono famosa? Che sono solo un fantasma, una scrittrice-fantasma?”– penso.
Il giorno seguente, raccontando dell’invito, mi sento chiedere, nell’ordine:
“Come mai tu?”
“Non ne ho idea” – mi giustifico.
“Perché ti hanno invitato?”
Non lo so. L’ho già detto alla mamma.
“Sì, ma fammi capire, perché proprio tu?”
(quando si dice la fiducia, eh?)
“Ma c’è la guerra in Tunisia?”
“No. Non c’è la guerra. Ci sono le elezioni. Ma niente guerra, non è l’Egitto. In Egitto c’è una rivolta contro i faraoni il governo. Non è nemmeno il Mali, o la Nigeria. O il Congo. O uno degli altri 26 Stati in cui c’è. Lì, in Tunisia, si avvicinano le elezioni.”
“Non è che ti rapiscono?”
“Non dovrebbero, no. Non sono nemmeno una giornalista…”
“Sì, ma se giri con i giornalisti…”
“Eh. Giro con i giornalisti? Non lo so. Vedremo. E anche se giro con i giornalisti, non dovrebbero esserci rapimenti.”
“Eh, sì, ma magari ti rapiscono lo stesso.”
“Ascolta, mamma, se proprio vuoi che mi rapiscano, dimmelo che mi organizzo e la facciamo finita, ma per quanto tu mi sopravvaluti, sappi che rapiscono personaggi noti, non sconosciute come me e per anche se tu mi vedi nel fiore degli anni, per la tratta delle bianche, sono fuori target da almeno un ventennio, stando morbida.”
Finite le questioni, scatta il dilemma del cosa mi porto. Per una che quando viaggia organizzata, parte col bagaglio a mano, partecipare a un festone di quel calibro, non è uno scherzo.
Per l’abito da sera, opto per una cosa usata una sola volta, molto molto (davvero molto) chic. E decido di tornare a casa di mia madre per vedere se mi sta.
Appurato che mi sta, certo, non più con lo stesso effetto, torno al Mac e leggo il programma:
Trasferimento agli Studios nel pomeriggio a seguire visita, conferenza, premiazione, festa.
“E come mi cambio?” – mi domando, civettuola, immaginandomi in lungo, verde, a girare per gli Studios come Madre Natura (vecchia, ma ancora in gamba).
Smetto di pensarci per qualche giorno. Poi ricevo una telefonata per la conferma della cena di gala. Chi mi chiama, mi rasserena e sgombera il campo dai dubbi.
L’evento sarà sensazionale, ma easy. E io potrò lasciare in Italia il mio abito verde salvia scottata dal sole, saltare a piè pari l’imbarazzo dello strascico di pomeriggio, o il cambio d’abito dietro una palma, con sei metri di stoffa in borsa, evitare d’imbarcare bagagli e viaggiare come meglio mi viene: ovvero leggera.
E ad ora, a soli due giorni dal decollo, non so ancora cosa metterò in borsa, oltre all’attrezzatura per scrivere, ovvio.
L’unica cosa che so è che l’avventura è iniziata, da almeno quindici giorni e che per questa, in particolare devo ringraziare una Signora che ha accolto la segnalazione di un Gentiluomo che mi ha visto/sentito parlare per meno di mezz’ora, durante una conferenza stampa sul tema del deserto, della corsa e del cuore.
“