
Da un pezzo non scrivevo più da sola. Ogni libro marchiato LSF aveva dentro almeno tre penne, a volte quattro contando le pulci. Per il giallo all’italiana che ho editato a settembre, ne ho usata solo una: la mia. I miei stavano altrove, molto molto lontano.
Ho dovuto. Ma non mi è piaciuto neanche un po’.
Il bello del lavorare insieme, ça va sans dire, è lavorare insieme* e vedere l’uno i progressi degli altri e odiarli e amarli al tempo stesso.
Da sola, per contro, sei tu e il tuo senso di inadeguatezza, senza altro conforto che la slow cooker con dentro i guancialini di vitello cotti per otto/dodici ore. O un bicchiere del vino fantastico aperto due sere prima e non finito. Tu e il silenzio, che nemmeno i Beatles nel giradischi riescono a rompere. Figurarsi Jim Morrison. Tu e il tuo sopracciglio alzato, con le cassette piene di titani a farti da sfondo e il confronto con gli Imperdonabili ai quali sai che non arriverai mai, manco campassi ancora non uno o due ma cent’anni.
Zitta e scrivi. Dieci dita sulla tastiera. Tac, tac, tac-tac-tac. Cinque, sei, diecimila parole al giorno, ogni mattina (e ogni sera, uà, uà), from the beginning. Skype solo per salutarsi, sapere come procede il fantasy di Gianlu e Claudio, o la scheda di lettura del manoscritto ciclopico da cento. trenta. mila. ommioddio. parole. Non c’è attesa: non hai file da aspettare, drive da controllare per vedere se uno o l’altro hanno caricato un capitolo, o messo commenti a un brano.
72.000 parole in solitaria in una ventina di giorni scarsi. 400.000 battute a volume zero. Tipo la traversata dell’oceano su una tavola da surf. Con gli squali** a tenerti compagnia e nessuna tigre a bordo per la quale pescare*.
Ecco. Settembre è finito. Il giallo anche. Come ogni volta vivo il post-partum dello scrittore, solo che oggi pesa di più.

* Signore e signori, è andata in onda: La tautologia delle sette e tre quarti.
** Appuntamento al 18 di ogni mese con la rata delle tasse.
*** Le dodici domande, Vikas Swarup.