Fate presto e mirate al cuore

Fate presto e mirate al cuore
Aldo Costa
Piemme

Edizione cartacea (420 pagine per 19,50 Euro) comprata alla Libreria La Rinascita

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Parte male, malissimo, ma siccome so di essere una stronza – dove stronza va inteso in un senso specifico che contempli il mio mestiere di ghostwriter senza escludere quello generale, relativo all’attitudine della vecchia ciabatta che fa le pulci al cosmo – non mollo e vado avanti.
I personaggi si alternano in capitoletti da una-due-max tre pagine.

La cifra è un minestrone tra un King con poche rughe, Faletti e la Cornwell, soprattutto la Cornwell tanto che dopo un (bel) po’ arriva una Scarpetta nostrana, Serena di nome e investigatrice di fatto: 35 anni, mi pare, magra, figa, se la tira e la vogliono morta perché è a capo di un’indagine che coinvolge una non-meglio identificata “ditta”.

Trovo manierismi, tantissima tecnica, un esercizio di stile dopo l’altro. Non sento pathos e anzi qua e là inciampo in qualche bacio Perugina ma – costi quel che costi – continuo a leggere. Devo arrivare alla fine perché questo è il secondo libro che sto leggendo e ho bisogno di conoscerlo (il perché e il percome hanno a che fare con il branco).

Supero la metà e arrivo al Set-up che continua per un altro 40% della narrazione.

Nell’ultimo 10% del libro – dal punto di vista dell’architettura della trama – trovo:

  • debate (la domanda);
  • leaves old world for new one;
  • fun and games;
  • bad guys close in;
  • finale.

E qui strabilio.

Primo perché Aldo Costa, per il 90% del suo libro, ha sfanculato le regole del gioco, ha spostato tutti gli equilibri della trama, mi ha addirittura indispettito, ma in quelle 20 paginette finali ha vinto l’oro olimpico dello scrittore.

Cioè?

Dicesi oro olimpico dello scrittore quel riconoscimento che va tributato all’autore che mi faccia venire voglia di:
a) leggere un’altra delle sue storie;
b) rileggere quella appena finita;
c) scriverne (consapevole del rischio).

E secondo perché mi piace da morire cambiare idea.

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