“La lingua è stata inventata per servire certi scopi specifici”, scrive David Foster Wallace in un Autorità e uso della lingua.
Ho stampato questa frase su uno stock di magliette, in bianco su fondo nero, e ho chiesto al mio ex consorte nonché serigrafo di fiducia di farne un quadro 300×70.
La ripeto come un mantra e, anche quando non lo faccio ad alta voce, la seguo come una preghiera.
Sono una fanatica? Eh sì, una di quelle eclettiche, come Linus, ma con più capelli. Una fanatica eclettica.
Grammarnazi sulle orme del Gotcha di Maleska di Crosstalk?
No, e comunque non più. Ma se riesco ancora a sfamare il branco con le parole, il merito è dei geniacci che ho avuto il culo di incontrare.
Sono partita sugli alberi, in primavera, nella Liguria di Cosimo, sono cresciuta in fretta per via di una biblioteca cielo-terra di quelle dei film, in un palazzo del Quattrocento pieno di scale di marmo a due corsie.
Non so quanti volumi contenesse (alcuni vecchi di secoli, puzzolentissimi e altrettanto fragili), ma so che prima di finire le medie, li avevo letti tutti, e fui costretta a passare alla letteratura pop che leggevano le mie sorelle grandi.
Litigando con una delle due (l’unica con la quale sia mai andata d’accordo), non le dicevo mai parolacce. Citavo Blake.
Alta un metro e una banana con il corpo solido di una ginnasta e lo stesso occhio di bue di oggi, le sibilavo “Come il mare ai pesci, come l’aria agli uccelli, così il disprezzo allo spregevole”.
Nella casa al lago di un cugino, prima di compiere 14 anni, trovai un giornaletto porno e lessi uno dei racconti, ma avevo già finito De Sade e Anaïs Nin e Miller e mi lasciò seccata. Quello che invece mi tolse il fiato fu il Queneau di Esercizi di stile nell’edizione del 1983, tradotto da Umbertone.
Ci trovai libertà allo stato puro, profumata come un Sangiovese in purezza.
Eoni più tardi, trovandomi nella necessità di reclutare altre penne per loscrittorefantasma, rubai l’idea a Queneau.
Quando non facevo ginnastica, non leggevo, non scrivevo, non mi arrampicavo sugli alberi e non fingevo di studiare, aprivo la Settimana Enigmistica e mi fermavo sui giochi di parole (anche perché le mie sorelle finivano subito tutti i cruciverba).
La famiglia Bartezzaghi mi segue da allora. Me ne sono accorta oggi, riaprendo un libretto rosso e mezzo mangiato dal cane (Wallace, non Cariddi).
Si chiama
“Come dire
Galateo della comunicazione”
Quello di Stefano Bartezzaghi non è solo un galateo, come suggerisce il sottotitolo, ma LA guida galattica per la sopravvivenza.
Dall’aletta:
Questo libro insegna come metterla con gli errori di grammatica.
Come dire la cosa giusta al momento giusto.
Come trovare l’anima gemella su Facebook.
Come dare un nome a un figlio.
Come fare un discorso articolato.
Come compilare un menu.
Come tradurre i propri manicaretti a uso dei turisti.
Come esprimere i propri stati d’animo nel modo giusto per venire invidiati o compianti quanto lo si desidera.
Come straparlare superlativamente.
Come punteggiare i propri scritti continuando a pensare ad altro.
Come comunicare con la scrittura le proprie espressioni facciali.
Come parlare il bambinese.
Come (non) giocare con i doppi sensi.
Come presentare uno scritto al lettore.
Come rendere gentile almeno il proprio linguaggio )restando in quanto al resto i soliti cafoni).
Come essere pazienti con il linguaggio del proprio medico.
Come correggere la volgarità dei giovanilisti d’oggi.
Come essere volgari in lingua altrui.
Come essere correttamente scorretti.
Come parlare bene con una lingua che si può parlare solo male.
come venire a patti con le regole ortografiche.
Come scrivere un libretto operistico.
Come scrivere un testo per Sanremo.
Come commentare una partita di calcio in TV.
Come scrivere una e-mail.
Come coniugare i verbi nel modo migliore.
Come fottersene della grammatica e vivere felici.
Se l’avete letto (eccome), si merita di essere mandato a memoria.
Se non l’avete ancora letto, è ora di correre ai ripari.